Il Privato sta spodestando il Pubblico

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(Lettera a Left inviata in data 14/12/2018)

Secondo Marco Revelli “le basi statistiche su cui il progetto Tav fu concepito si sono rivelate infondate, i volumi di traffico non sono cresciuti e i costi, alla fine, saranno insostenibili, senza contare l’impatto sul sistema idrogeologico delle valli”. E’ una opinione condivisibile e lo è stata da subito per molti, gli stessi che oggi sono tiepidi se non addirittura contrari.
Si privilegia far lavorare le imprese con le grandi opere (vedi la Tap o il MUOS) o con le grandi fabbriche inquinanti (vedi l’ILVA di Taranto) anche se in Italia le imprese sono quasi tutte piccole o molto piccole. Però i lavori urgenti non mancherebbero: dalla messa in sicurezza del suolo in molti territori fragili, alla tutela di edifici scolastici e pubblici, dalla riqualificazione di aree industriali altamente inquinate, alla riedificazione dei paesi terremotati nelle varie riedizioni telluriche, per non parlare della rete idrica talmente antica che disperde più acqua di quanta ne arrivi all’utente finale.
Le imprese e le loro maggiori associazioni come Federmeccanica, Confcommercio, Federalberghi e Confesercenti chiedono in modo reiterato finanziamenti e sconti irpef, senza i quali, a loro dire, l’economia non si riprenderà mai, portando con se la disoccupazione giovanile. Spesso però questi fondi restano profitti a loro vantaggio, senza essere reinvestiti in servizi o innovazione. Come per
la potente lobby del mercato della salute che, rispetto al pubblico, cresce in controtendenza, piegando l’offerta secondo tariffe convenienti ed in barba alle normative attuali che prevedono la supervisione pubblica in capo alle Asl.
E’ invece allarmante l’esigua occupazione nella pubblica amministrazione, in cui il personale pubblico nei 15 anni dal 2001 al 2016 è diminuito del 16,8% in Italia e del 18,2% nel Lazio, dove si concentra gran parte di ministeri ed enti pubblici. Inoltre l’età media degli addetti mostra un aumento in tutti i comparti: nel 2016 i dipendenti tra 55 e 64 anni (che avranno tra i 58 e i 67 nel 2019) erano il 39,7% del totale, ovvero due su cinque.
Le liberalizzazioni nel settore pubblico (dai ministeri, alla sanità, alla scuola, agli enti locali, ecc.) hanno reso l’occupazione sempre più precaria e senza regole e la mancanza di garanzie sulla contribuzione non permetterà di finanziare l’INPS e le pensioni a venire. Infatti al di là delle dichiarazioni ufficiali, gli imprenditori italiani godono direttamente o indirettamente del fatto che un segmento produttivo sia svolto in tutto o in parte al nero. Come è normale che alcuni partiti raccolgono voti promettendo meno controlli e più condoni.
Ciò che invece lascia increduli è perché non ci sia un partito capace di mettere la lotta al nero al centro della propria iniziativa politica. Se infatti in questo Paese esiste ancora scuola e sanità pubbliche, qualche residuo di investimenti statali, o di amministrazione della giustizia, lo si deve in gran parte alle tasse pagate dai dipendenti pubblici sulle proprie percezioni.
Loro che versano il 90 per cento dell’Irpef, oltre ad Iva e accise varie, tengono in piedi l’Inps con i propri contributi. Loro che pagano per tutti, anche per quegli evasori milionari a cui dobbiamo i 100 miliardi di euro annui sottratti alla collettività. L’impressione è che siano vittime della retorica universale che alla parola “tasse” associa immediatamente la parola “impresa”, chiedendone immediatamente la riduzione.