Per far uscire bambini e ragazzi dall’indigenza non servono soldi da distribuire, bastano i sani e vecchi servizi pubblici, come una scuola efficiente ed una buona mensa, centri estivi e sportivi gratuiti come offerta di pari opportunità. Purtroppo gran parte delle scuole è vecchia, parchi e giardini spesso sono abbandonati al degrado, rendendo impossibile a quartieri e borghi benessere e socialità adeguati. Si continua invece a sfornare grandi opere per drenare soldi da territori che non ne trarranno alcun vantaggio.
Negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso i bambini in città giocavano in strada, il panettiere ed il rivenditore di frutta erano come uno di famiglia. I primi supermercati permisero alle donne lavoratrici di risparmiare tempo per la spesa, ma venivano meno le relazioni di prossimità: il benzinaio era diventato un self service mentre sparivano osterie e laboratori artigianali, fino ad allora presidi sociali a tutela della comunità.
Una volta sorto il “centro commerciale”, soprattutto in periferia, l’incontro si spostava dagli spazi pubblici del centro storico ai luoghi privati dei grandi magazzini. Sempre in periferia vengono eretti grandi edifici popolari come “Le Vele” a Napoli o “Corviale” a Roma. Del degrado e della criminalità ben presto scoperti al loro interno è stata colpevolizzata quell’architettura povera di servizi e densa di popolazione in gran parte proletaria e spesso inadempiente. Di conseguenza la soluzione è stata abbattere Le Vele, come per la malattia mentale è stata abbattere i manicomi invece che curare i malati!
Per fortuna da tempo in molti di quei luoghi sta rinascendo una dimensione umana, come ci dice Ezio Manzini, nel suo “Abitare la prossimità”: densa e diversificata nelle funzioni, caratterizzata da un mix di attività residenziali e produttive grazie al recupero di spazi pubblici per la salute, la scuola e la cultura. In altre periferie sono nati progetti di ascolto per i senza tetto e per gli immigrati, per non parlare di modelli di coabitazione aperti e vitali: esperienze di affitti condivisi tra giovani nuclei familiari e persone anziane o con persone provenienti da altre culture. Dai luoghi di sofferenza metropolitana sono emerse capacità di intervento da condividere col resto della città grazie ad insegnanti, preti, volontari, cooperative, centri sociali e collaborazioni con le università, descritti anche in “Dove ricomincia la città” di Francesco Erbani.
E’ proprio vero: o ci si salva tutti insieme o rimarremo soli e divisi ciascuno nella sua diversità.
Trasformare i luoghi dell’abitare
Square