(Inviato a Left il 7/7/2020)
Ci è stato detto che noi donne, pur migliori nello studio rispetto agli uomini, purtroppo non ci applichiamo a materie come la finanza, l’ingegneria o l’informatica grazie alle quali solo gli uomini raggiungono le carriere apicali da cui siamo escluse. Secondo tali presupposti culturali le donne, in maggioranza propense ai temi sociali, psicologici, assistenziali e di cura, non potranno mai acquisire i riconoscimenti attesi.
Dovremmo dunque cambiare noi per raggiungere le vette auspicate, non è la società che dovrebbe creare eguaglianza e democrazia. Contro tali ragionamenti da anni abbiamo sviluppato concetti come autodeterminazione, sorellanza, cooperazione e solidarietà femminile, per una politica delle donne equa ed efficace, capace di riproporre gli ideali fondativi del nostro Paese e ricostruire dalle fondamenta una nuova casa comune europea.
Ma ormai non basta più che ogni categoria di persone discriminate si armi delle migliori iniziative e combatta per i diritti e la dignità di una vita, perché così si otterranno solo parziali successi, spesso precari, perché difficili da difendere.
Il lavoro più efficace in materia resta quello di favorire i portatori di caratteri, linguaggi e comportamenti diversi, tanto da non riconoscere neanche più le tipologie degli attori: maschi o femmine, cittadini o extracomunitari, ricchi o poveri, ognuno da riconoscere come individuo unico, con capacità ed attitudini proprie.
Perché la mia categoria dovrebbe avere una strada privilegiata rispetto a quella di un giovane che deve andare all’estero per trovare un lavoro o a quella di una persona che, avendo perso il lavoro, si deve riciclare in attività di bassa manovalanza per portare avanti la famiglia? Se si deve combattere, lo dobbiamo fare per tutti, giovani e donne, anziani e extracomunitari, carcerati e disoccupati, disabili e poveri.
Pensiamo per esempio ai bambini, loro non hanno voce in politica. Quando un bambino su sette nasce e cresce in condizioni di povertà assoluta, uno su 20 assiste a violenze domestiche e uno su cento è vittima di maltrattamenti, con che coraggio andiamo a rivendicare una vita più agiata e soddisfacente solo per noi?
Dobbiamo riprendere il coraggio di combattere il disagio che attanaglia la società attuale ma va fatto incontrandoci con i nostri simili, con cui discutere e riconoscerci vicendevolmente. Solo così potremo trovare le soluzioni giuste, che ci permetteranno un giorno di ottenere la possibilità della gioia di vivere per tutti.